Acquacoltura Sostenibile Certificata, una Certificazione per la Competitività

Acquacoltura Sostenibile: – Le nicchie dell’ allevamento di pesci

Nata nel 2020, supportata dal Masaf e già applicata da diverse aziende di allevamento ittico questa etichetta premia chi persegue uno sviluppo rispettoso di ambiente, società e ciclo economico. Una garanzia di qualità per i consumatori.

Che l’acquacoltura sia un’attività sostenibile per il consumo ittico, forse già si sapeva. Ma dal 2020, grazie a un lungo lavoro di avvicinamento, basta un bollino per attestarlo. Si tratta della Certificazione di “Acquacoltura sostenibile“: nata in piena pandemia sotto l’egida del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (Masaf) a cui hanno dato un contributo decisivo le associazioni di settore come API (soprattutto per spigole, orate e trote) e AMA (per i molluschi) – per un totale di 14 specie ittiche -, viene erogata da enti certificatori terzi riconosciuti dal ministero stesso. A differenza delle etichette già presenti sul mercato, quella del Masaf «afferisce a un sistema più ampio di regole in linea con le normative Ue e rientra in quei sistemi di qualità zootecnica con cui, per esempio, vengono certificate anche le qualità di uova e carne bovina», afferma Andrea Fabris, direttore dell’Associazione piscicoltori italiani.

Attraverso diverse attività di controllo e monitoraggio continuo, la Certificazione “Acquacoltura sostenibile” richiede il rispetto di alcuni requisiti di qualità e sicurezza alimentare che si poggiano sui pilastri della sostenibilità, ossia l’attenzione per l’ambiente, la società e l’andamento economico. «Dal punto di vista ambientale, per esempio – afferma Fabris – la Certificazione pone un’attenzione particolare all’uso di risorse sostenibili che favoriscono il benessere animale oltre a fornire un calcolo dell’impronta ambientale della fase di produzione. Detto diversamente, l’azienda che richiede il bollino di qualità deve dimostrare un’attività di implementazione progressiva del Pef (Product Environmental Footprint – Impronta ambientale dei prodotti) e di miglioramento dell’impronta relativa alla CO2 in fase produttiva. Allo stesso modo devono essere rispettati parametri sullo smaltimento dei rifiuti. Mentre per l’ambito sociale bisogna dimostrare che c’è un’integrazione con la comunità in cui ha sede l’azienda, la filiera di riferimento e gli istituti universitari e di ricerca. Infine, in termini di sostenibilità economica, la Certificazione “Acquacoltura sostenibile” premia la formazione continua dei dipendenti e gli accordi con gli altri attori della filiera per la fissazione di prezzi minimi di scambio».

Tutti aspetti che, una volta implementati, consentono alle aziende di avvalersi di diversi vantaggi competitivi. «Su nostra richiesta, il disciplinare di produzione di acquacoltura sostenibile riassunto dalla certificazione è stato inserito all’interno dei criteri premiali per le aziende che partecipano ai bandi della pubblica amministrazione in materia di ristorazione collettiva per istituti scolastici, Rsa e ospedali», precisa Fabris. Anche perché, alle spalle delle aziende certificate, c’è proprio la PA nelle vesti del Masaf: «La Certificazione di “Acquacoltura sostenibile” nata due anni fa è da intendersi come un vero e proprio ombrello per tutte le aziende che vorranno aderirvi. In questo modo, da un lato, si evita la proliferazione delle certificazioni che oltre a rappresentare un costo per le aziende rischiano di diventare una mera etichetta senza molto contenuto; dall’altro, si costituisce un quadro normativo definito ancorché flessibile per andare incontro all’evoluzione del settore, all’innovazione che si fa direttamente in azienda», spiega Fabris.

Altro tema affrontato dalla Certificazione di acquacoltura sostenibile è senza dubbio la difesa dell’italianità. In un mercato, quello del consumo ittico tricolore, in cui circa l’80% di spigole e orate sono importate, infatti, un bollino riconosciuto a livello nazionale con alle spalle la garanzia del Masaf è senza dubbio un vantaggio per i produttori, i rivenditori (come i ristoranti, che così possono “vendere” il pesce in menu assicurando il cliente finale allo stesso modo in cui lo si fa con l’etichetta di un vino o di un olio) e i consumatori finali. Non sorprende, in questo senso, che siano già diverse le insegne della grande distribuzione organizzata che si stanno sempre più allineando ai criteri della Certificazione di “Acquacoltura sostenibile” (valida anche per i prodotti trasformati come filetti, polpette e burger di pesce sempre più richiesti nel banco del pesce confezionato «a patto che sia mantenuti ben separati flussi, spazi e tempi di lavorazione così da evitare “contaminazioni” con la produzione generica», precisa Fabris).

Un trend che si rileva non solo in Italia ma anche in altri mercati esteri. Sia quelli di produzione (come la Grecia) che di riferimento per l’importazione come i Paesi del Centro e Nord Europa in cui sono molto richieste le trote e il caviale Made in Italy. Il tutto a fronte di costi accessibili e competitivi che prevedono, da un lato, la spesa viva per le operazioni di certificazioni e, dall’altro, inducono le aziende a effettuare investimenti funzionali al miglioramento della produzione aggiornando modalità e tecniche di allevamento agli ultimi standard di qualità.

Foto Copertina @ISPRA

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