Allevamento ittico, l’inflazione spinge il fatturato ma i volumi calano

IL 2022 DELL’ACQUACOLTURA ITALIANA

Verona 31 maggio 2023 – Allevamento ittico, l’inflazione spinge il fatturato ma i volumi calano

Il 2022 dell’acquacoltura italiana (per il settore allevamento ittico) in numeri parla di 303,8 milioni di euro di valore per un totale di 53.900 di tonnellate di pesce prodotto, sia in terra che in mare. Dati da API – Associazione piscicoltori italiani che, se raffrontati con quelli del 2021, parlano di uno scatto in avanti del fatturato ma una riduzione dei volumi (consulta dati produttivi 2022). E questo solo se si tiene conto dell’itticoltura. Perché se si allarga lo sguardo anche ad eccellenze come il caviale (con un totale di 62 tonnellate e con prezzi che sul mercato possono spuntare anche 800-1.000 euro al chilo) oppure la molluschicoltura, allora aumenta anche il percepito di qualità della produzione Made in Italy.

Nonostante una leggera flessione, la regina del mercato rimane la trota con 29.000 tonnellate prodotte e 113 milioni di valore generato al netto del prodotto trasformato. Secondo e terzo posto per orata e spigola che invece hanno visto aumentare i propri margini a valore mentre i volumi sono rimasti pressoché stabili. «Per quanto riguarda il prodotto di acqua dolce, l’effetto combinato dell’aumento dei costi dopo l’avvio del conflitto in Ucraina e la siccità estiva che si è protratta fino all’inverno, gli impianti dell’allevamento ittico hanno registrato una flessione del -20% acuita da un aggravio dei costi energetici necessari per attingere l’acqua dal sottosuolo e mantenere i pesci in vita», spiega Andrea Fabris, Direttore di API. Questa situazione ha avuto un duplice effetto: da un lato, una minore offerta che ha portato all’aumento dei prezzi; dall’altro a una rimodulazione della stessa orientando l’allevamento , per esempio, nel caso della trota iridea a pezzature ridotte rispetto alla salmonata che supera il mezzo chilo. Per le altre produzioni di acqua dolce, invece, detto del caviale – «che si conferma un prodotto in forte crescita in cui il Made in Italy conferma il ruolo di leader a livello europeo e secondo solo alla Cina per quantità» – va sottolineato il declino dell’anguilla: 100 tonnellate di prodotto perso in un anno.

Sul fronte della produzione in mare, invece, il leggero incremento segnalato dai numeri (17.600 tonnellate di spigola e orata prodotte per un totale di oltre 140 milioni di euro di fatturato) «si deve al maggiore spazio concesso all’allevamento offshore e alla maggiore richiesta all’interno della Gdo e della ristorazione», afferma Fabris. Va però sempre segnalato che, sebbene si stia cercando di diversificare con l’introduzione di ombrina, ricciola e corba rossa, la produzione di spigole e orate italiane copre solo il 20% del fabbisogno nazionale, con un forte ricorso all’import da paesi stranieri. Per invertire la bilancia commerciale, una strada passa attraverso la valorizzazione della carne di storione. «Siamo ancora in una fase di ricerca del migliore sistema per presentarlo al pubblico. Il prodotto fresco sicuramente è quello che si presta a più utilizzi, ma bisogna superare la diffidenza a trattarlo. Per questo nascono medaglioni già pronti, referenze affumicate oppure sott’olio», rivela Fabris.

Discorso a parte, merita il settore della riproduzione e avannotteria, indispensabile per il funzionamento della filiera e capace da solo di generare un mercato da 42 milioni di euro se si considerano anche le uova embrionate di trota iridea e altri salmonidi. Le uova embrionate prodotte in Italia sono 278 milioni con un fatturato di 4,2 milioni di euro mentre gli avannotti di spigola ed orata che vengono in buona parte destinati ad allevamenti dell’area mediterranea raggiungono nel complesso 180 milioni di unità per un valore di 37,8 milioni di euro di fatturato.

Foto Copertina @ISPRA

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