Insetti, sostenibilità e ricerca: Ittinsect guarda al futuro dell’acquacoltura

Acquacoltura Giovane

Quando si parla di novel food spesso si confondono i piani del gusto e dell’alimentazione, sana e sostenibile. Soprattutto se si fa riferimento alla farina di insetti. Un ingrediente di fronte al quale i consumatori si separano in due fazioni: gli entusiasti da un lato, i detrattori dall’altro. Divisioni che non fanno gioco alla sostenibilità ambientale a cui tutta la filiera della produzione agroalimentare è chiamata a concorrere. A partire dall’acquacoltura che, proprio nella farina di insetti, sembra aver trovato una delle chiavi di volta per aprirsi a nuovi sviluppi produttivi nel pieno rispetto dei pesci e del loro habitat naturale. Questa, peraltro, la missione con cui è nata Ittinsect.

«L’uomo fa fatica a privarsi del pesce, quindi ci siamo chiesti: possiamo slegare l’industria ittica dallo sfruttamento eccessivo delle risorse marine? Da qui è partita la nostra avventura che, attraverso il dialogo con API – Associazione piscicoltori italiani e gli operatori del settore, si pone l’obiettivo di creare un mangime a impatto positivo sul mare e nutrizionalmente valido per la crescita delle specie allevate», racconta Alessandro Romano, 28 anni, ingegnere navale di formazione. Al suo fianco, il biologo marino Andrea D’Addazio con cui, nel 2020, ha dato vita a Ittinsect: start-up specializzata nella produzione di proteine ad alto valore nutritivo ottenute partendo da insetti e sottoprodotti agricoli per l’impiego in acquacoltura che, a gennaio 2023, è riuscita ad assicurarsi un investimento di oltre 750mila per sviluppare ulteriormente la ricerca biotech, rendendo commercialmente accessibili i propri ingredienti alle aziende mangimistiche.

Alla base c’è la volontà di ridurre l’impatto ambientale della filiera ittica: «Ho sempre avuto una grande passione per il mare: da giovane mi dilettavo con le regate in barca a vela e la pesca. Tuttavia, il mio lavoro da broker navale in Svizzera mi stava stretto. Volevo fare la mia parte per un ecosistema che mi ha sempre dato tante soddisfazioni. Per questo nel 2020 ho deciso di lasciare il mio lavoro e avventurarmi, su un piccolo catamarano senza cabina, in un viaggio di mille miglia da Venezia a Corfù imponendomi di nutrirmi solo di ciò che sarei riuscito a pescare. Durante il viaggio ho avuto modo di constatare quanto sia grande l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi marini. Sono tornato con una domanda: come possiamo ridurre il bisogno di pesce pescato? Dopo successivi approfondimenti, ho trovato la risposta: agire sui processi produttivi dell’industria mangimistica che, a livello mondiale, è alla base della richiesta del 25% di pesce pescato».

Per riuscirci, Ittinsect utilizza un sistema brevettato che, attraverso l’impiego di un bioreattore, migliora di otto volte l’efficienza della componente proteica della farina di insetti («elementi già di per sé presenti nelle diete naturali dei pesci di acqua dolce e molto simile ai crostacei di cui si cibano quelli di acqua salata», sottolinea Romano) riducendo la chitina e rendendo l’ingrediente più facilmente assimilabile per il pesce. In questo modo, i mangimisti che decidono di utilizzare l’ingrediente così ottenuto in alternativa ad altre farine proteiche come la farina di pesce o quella di soia possono arrivare a garantire un miglioramento della crescita del 12% per lo storione e un del 18% per la trota. Ad oggi, il componente è utilizzato in 4 linee di prodotto complete e raggiunge una percentuale fino al 30% di utilizzo nella formulazione del mangime completo. Ma da dove arrivano gli insetti? «Noi non siamo degli allevatori di insetti. Ci riforniamo da partner specializzati, molti dei quali all’estero. In Italia, infatti, l’allevamento di insetti per uso alimentare non è ancora così evoluto. Tuttavia, il trend è in crescita ed entro la fine del prossimo anno ci aspettiamo un incremento di produzione per volume e qualità che migliorerà, di conseguenza, anche le nostre capacità di approvvigionamento», afferma Romano.

Evidenti i risvolti in termini di sostenibilità, non solo ambientale ma anche economica. «Comunemente, misuriamo la sostenibilità solo come riduzione delle emissioni di CO2, ma si tratta di una visione parziale. Bisogna tenere in considerazione diverse sfaccettature: dal calo delle microplastiche alla diminuzione della pesca per realizzare mangimi, dai costi di trasporto a quelli di stoccaggio. Noi ci poniamo l’obiettivo di valorizzare 1.500 tonnellate di sottoprodotti altrimenti inutilizzati, risparmiare 2.500 tonnellate di CO2 e salvare oltre 45 milioni di pesci dalle reti», sottolinea Romano. Obiettivi che, a cascata, gioverebbero anche sul conto economico delle aziende dell’acquacoltura: secondo alcune analisi di mercato, il consumatore finale è disposto a pagare un sovrapprezzo del 15% per le referenze che garantisco un prodotto ittico a impatto zero sull’ambiente marino.

Foto Copertina @ittinsect.com

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