Vallicoltura Veneta

Acquacoltura Italiana – Dal Territorio alla Tradizione Gastronomica

Acquacoltura allo stato puro, in piena sinergia con la natura. Questa, in sintesi, l’attività della vallicoltura Veneta. Un manipolo di 300 addetti impegnati in un’attività secolare in cui risorse ittiche, idriche e ambientali svolgono una funzione integrata a favore di circa una quarantina di aziende su una superficie di 22mila ettari, sui 77mila che compongono la laguna. Il risultato? Un prodotto d’eccellenza: «Non c’è migliore prodotto bio rispetto a quello pescato in valle. Il motivo è semplice: il pesce non viene mai alimentato a mangime. Inoltre, vive libero, in un ambiente sostenibile in cui l’intervento dell’uomo gli garantisce il contesto ideale per la crescita così da ottenere una carne con caratteristiche organolettiche eccellenti e colore unico», spiega Olivier Martini, AD di Valle Cà Zuliani e Valle Pierimpie.

La vallicoltura veneta affonda le sue radici all’epoca romana quando gli abitanti delle zone lagunari sfruttavano la naturale montata di pesci di piccola taglia verso le lagune, in cerca di cibo. Qui crescevano fino all’autunno quando l’acqua tiepida del mare, che entrava in laguna, li chiamava a prendere il largo. Questo fenomeno, che da Grado al Delta del Po caratterizza la costa adriatica, ha dato poi avvio a una filiera con un forte radicamento sul territorio. E i benefici non mancano: «La vallicoltura contribuisce a fornire alcuni importanti servizi ecosistemici, dei vantaggi positivi per l’ambiente e l’intera collettività: bilanciamento dell’acqua dolce e salata nella laguna, cattura della Co2 attraverso la funzione vitale svolta dalla vegetazione marina e di terra e fissazione del carbono nel sottosuolo; questa attività svolta dalle piante contribuisce al miglioramento dell’aria. Altri servizi ecositemici generati dalla gestione valliva riguardano: l’approvvigionamento naturale di alimento per pesci e uccelli, bonifica di zone di marcescenza, manutenzione argini e canali, salvaguardia di un’attività culturale e storica a tutela di diversi posti di lavoro», spiega Martini.

La vallicoltura veneta, infatti, è un sistema di allevamento che prevede una forte sinergia con l’ecosistema. «In primavera, gli addetti seminano il novellame che si aggiunge, all’interno dell’azienda, al pesce che ha già trascorso l’inverno nelle peschiere di sverno. Le specie sono orate, branzino, cefalame e anguille. Il ciclo di maturazione può arrivare anche a 5-6 anni. Ogni autunno, quindi, il pesce viene pescato, quello di taglia commerciale venduto ed il piccolo rilasciato nelle peschiere di sverrno e ripescato altrettante volte prima di essere pronto. Per farlo, si lascia entrare l’acqua di mare più tiepida, all’interno delle lagune. I pesci sentono naturalmente il richiamo del mare e della temperatura più mite e cominciano a dirigersi verso il richiamo dell’acqua quindi verso il mare. Nel loro percorso vengono indirizzati verso i “colauri” (tratto del canale di comunicazione tra valle da pesca e laguna) e separati in diversi” lavorieri” per essere pescati», racconta Martini.

In totale, la produzione stimata si aggira intorno alle 800 tonnellate. Gdo, mercati locali e rivendite di paese sono i canali maggiormente presidiati con un prezzo che si aggira intorno ai 6-8 euro al kg per branzini e orate e una media di 2 euro al kg per i cefali. Margini che rischiano di essere erosi da alcune criticità. Non tanto la siccità, che qui non ha fatto danni, quanto ai costi dell’energia (utilizzata per pompare acqua dentro e fuori i canali e la laguna) ma soprattutto dal problema dei cormorani. Questi uccelli ittiofagi migratori, che in autunno cominciano a volare verso sud, trovano nelle lagune dedicate alla vallicoltura un ambiente ideale. Aggiungendosi poi a quelli stanziali, rappresentano una minaccia per l’attività: «Siamo passati da 180 kg di resa per ettaro a 50-60 Kg di prodotto, Con punte che arrivano fino all’80% dei cefali, più esposti a causa di un ciclo di vita più lungo», sottolinea Martini. Tutti i metodi utilizzati finora non hanno funzionato. E anche le reti, che più funziona nei canali che possono essere protetti, non possono proteggere aree di 400 ettari di estensione media.

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